L’insufficienza cardiaca è considerata da tempo la patologia cardiovascolare di maggiore impatto epidemiologico e prognostico, nonché una delle più rilevanti nel campo più generale delle malattie croniche. Vi sono stati, di contro, negli ultimi anni importanti progressi terapeutici, la cui applicazione nella pratica è tuttavia largamente incompleta.
Vi sono vari motivi che giustificano questo gap tra la disponibilità di farmaci e device efficaci ed il loro trasferimento nella pratica. Uno dei più importanti è lo scarso collegamento tra le varie figure interessate alla gestione dell’insufficienza cardiaca, in particolare tra quelle ospedaliere specialistiche e quelle territoriali generaliste.
L’irruzione nello scenario clinico dell’emergenza COVID ha reso ancora più complicata la situazione. La convivenza con questo problema – per quanto auspicabilmente meno drammatica rispetto ad alcune settimane fa – ha determinato (e certamente determinerà anche in futuro) una serie di cambiamenti nella vita sociale, che non possono non interessare anche aspetti rilevanti dell’assistenza sanitaria.
In particolare, vi sarà verosimilmente l’attuazione dei principi fondamentali della “telemedicina”, tante volte enunciati in passato ma raramente tradotti in applicazioni pratiche. La necessità di ridurre al minimo possibile il contatto “fisico” tra pazienti e operatori sanitari, limitandolo alle situazioni in cui sono necessarie valutazioni cliniche dirette e/o esami strumentali e/o procedure complesse, rappresenterà probabilmente il catalizzatore di un processo avviato da tempo, ma progredito con estrema lentezza.
Il campo prioritario di applicazione riguarderà le patologie croniche, e tra queste un ruolo da protagonista avrà certamente lo scompenso cardiaco. In considerazione dell’elevata morbilità e letalità di questa patologia è tuttavia necessario che siano garantite ai pazienti efficacia e appropriatezza dei processi diagnostici e terapeutici, e soprattutto che sia rispettata rigorosamente la sicurezza in termini di outcome.
In questo senso acquista ancora maggior valore il modello di integrazione tra specialisti cardiologi, internisti e medici generalisti ripetutamente auspicato in precedenza. Le parole d’ordine saranno: corretta definizione della reale “stabilità” clinica”; identificazione tempestiva dei pazienti a rischio di instabilità; referral appropriato; ottimizzazione terapeutica; follow up condiviso sulla base di protocolli chiari e concordati; elaborazione di “nuovi” metodi di assistenza, basati sulle varie declinazioni possibili dei principi della telemedicina.